Alle 17,58 del 23 maggio di trentun’anni fa Giovanni Brusca, mafioso di san Giuseppe Jato legato ai corleonesi di Totò Riina, sull’autostrada che collega Palermo al suo aeroporto dalle parti della cittadina d Capaci, azionava il telecomando che innescò l’esplosione di mille chili di tritolo. Fu “l’attentatuni”. E a morire furono il giudice Giovanni Falcone appena cinque giorni dopo il suo cinquantatreesimo compleanno. La moglie Francesca Morvillo, magistrato pure lei; e gli agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Fu la prima strage di quell’anno, il 1992. Perchè qualche mese più tardi, il 23 luglio, anche il giudice e amico d’infanzia di Falcone, Paolo Borsellino, sarà barbaramente ucciso con l’esplosione di una Fiat 126 imbottita di tritolo. In quel caso a morire con Borsellino, in via D’Amelio, furono gli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. “Pagine tristissime della nostra storia”, commentano alla Cisl Sicilia. E Sebastiano Cappuccio, segretario generale: “Il sacrificio di quegli uomini non lo dimenticheremo mai”. Anzi, aggiunge, il rinnovarsi delle scadenze, anno dopo anno, “rinnova puntualmente in noi il sentimento di cordoglio, di pena, di lutto per quello che accaduto”. E ad addolorare tutti, rimarca il sindacato, è pure il senso di frustrazione per le ombre che ancora oggi si allungano su quei fatti, “tra misteri, anomalie, depistaggi. Interrogativi che restano irrisolti nonostante decenni di processi. E decine di sentenze”. Il mondo del lavoro, sottolinea la Cisl, terrà sempre viva la memoria di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e di tutte le vittime delle stragi mafiose, barbaramente cadute prima e dopo di loro. Ma una testimonianza che non sia mero rito, per la Cisl passa per “politiche di sviluppo che liberino l’Isola dal ricatto di tutte le mafie” e che abbiano al centro la cultura della legalità e assieme logiche di investimento produttivo e misure di inclusione e tutela sociale. E’ questo che anche oggi rivendichiamo”, rimarca Cappuccio. “Ed è questo che ci aspettiamo da tutti i governi, nel presente e nel futuro. In sede locale, regionale e nazionale”. (ug)